14 febbraio di Castellano Laura
14 Febbraio
Non era così che mi ero immaginata di vivere.
Ero allegra, ero simpatica, mi piaceva ballare, uscire con le amiche, divertirmi.
Ma ero davvero io?
Questo presente assurdo mi incombe addosso. Mi precipita in un buco nero, basta sentire la chiave che gira nella toppa. La porta che si apre.
Sì, è ora, sta arrivando.
Saluta, sembra allegro, stasera, ma so che non mi devo fare illusioni.
Tutto può cambiare, in un attimo. Senza darmi il tempo di chiedermi “Perché? Che ho fatto? Cosa ho sbagliato?”
Ma stasera va tutto bene. Me lo ripeto, mentre preparo la cena, metto in tavola i piatti, i bicchieri, le posate, il vino. Il vino. Il bottiglione di rosso che sollevo per mettere in tavola è quasi vuoto.
Quando ha bevuto? Non mi sono accorta.
Arriva in cucina, sento il passo pesante, lo riconosco.
Si butta sulla sedia, aspetta di essere servito. La pasta è cotta, la porto in tavola, intanto alzo appena lo sguardo, per capire come butta.
Ho il batticuore. La mia sicurezza di poco fa è già sfumata.
No, va tutto bene, mi dico che è così.
Invece no, non va bene per niente.
La rabbia gli deforma il viso, la pasta, il sugo volano per la cucina, finiscono contro il muro. Il sugo, colando, lascia una scia rossa.
La guardo, ipnotizzata.
Devo pulire, se no rimarrà una macchia, non andrà più via.
Mi alzo in fretta, spugna, straccio e sfrego, cercando invano di far sparire quella traccia.
Il tono della sua voce aumenta. Cucino da schifo, come sempre.
Non imparo. Adesso sta urlando. Mi faccio piccola, mentre sfrego il muro.
Cerco di occupare poco spazio. Il meno possibile. Vorrei essere invisibile.
Faccio schifo. La voce ora è più vicina, la sua faccia quasi contro la mia e schizzi di saliva, come frecce sulle mie guance.
Il suo fiato puzza di tutto quel vino bevuto, ingollato con avidità, oltre la misura.
Ecco, ci siamo.
Due laghi di cobalto mi fissano vuoti. In quegli occhi un tempo mi perdevo, che fine hanno fatto?
Cerco invano la sua anima, affondata in un mare di alcool.
Davvero lo amavo?
Qualcosa di caldo e appiccicoso mi cola dal labbro.
E’ partito il primo pugno.
Domani mattina, uscendo, dovrò di nuovo mettere gli occhiali da sole. Speriamo non piova.
La vicina, ieri, mi ha lanciato uno sguardo, sembrava che volesse chiedermi qualcosa. Un attimo, poi ha infilato la chiave nella toppa. Ho sentito il clic. Ed è entrata in casa sa. Sollievo.
I pugni, i calci, urla così forte, stasera.
Ma io non sento dolore. Non sento dolore.
Rannicchiata contro il muro, il mio corpo ha imparato a memoria i gesti per difendermi.
E’ come inserire il pilota automatico, fa tutto da sé.
Io posso fuggire nel mio mondo parallelo. La mia anima si fa piccola piccola, anche lei vuole occupare meno spazio possibile, nascosta giù nel mio buio.
C’è u posto, in fondo, nel pozzo nero che sento dentro di me, dove portà nascondersi. Ripararsi. Salvarsi.
Aspetterà lì, tutto il tempo necessario.
Passerà, Burian, anche questa volta passerà.
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