Cosa è poesia?
Cari amici dell’Associazione Sen Gian, sono venuto a conoscenza della vostra iniziativa Raccolto Letterario su indicazione di uno di voi e subito la mia curiosità per tutto quello che è scrittura mi ha spinto a entrare nello spazio internet dedicato alle pagine proposte dagli autori “nascosti” (non si chiamava proprio Vetrina degli Autori Nascosti una precedente versione del vostro lavoro?). Per ora, mi sono limitato alle composizioni poetiche, che ho letto con attenzione e rispetto. Questa prima lettura ha suscitato in me il desiderio di contribuire in qualche modo alla crescita di un’attività che ritengo interessante e meritevole di sviluppo. Ho quindi pensato di buttar giù qualche riga, senza alcuna pretesa di “scientificità” o di dare lezioni (non ne avrei il titolo e tanto meno la capacità), ma semplicemente per mettere a disposizione degli autori e dei lettori qualche riflessione, per avviare un confronto di idee.
Non so dire cosa sia la poesia. Ma sono certo che poche manifestazioni umane siano soggettive quanto la poesia, nella realizzazione e ancor più nella fruizione: stiamo parlando di un’espressione personale di sentimenti, percezioni, emozioni, in qualsiasi forma l’autore senta di doverla manifestare (anche se qualche grande del Novecento ha detto che non è poeta chi non è almeno capace di scrivere un sonetto, con le sue regole fisse della versificazione e della rima; ma si sa, anche i grandi a volte la sparano grossa…). Per questo mi limiterò a qualche osservazione (del tutto personale e opinabile) sulle “cose” che un autore di componimenti poetici dovrebbe evitare.
Attenzione alla mancanza di armonicità nel verso e di ritmo tra i versi. Quindi, no alla mera sequenza di parole sovrapposte, quasi che ognuna avesse un significato di per sé: la cesura tra i versi dovrebbe proprio servire a rafforzarne il significato e la continuità espressiva. La scrittura in versi è diversa da quella in prosa proprio per il ritmo che sa offrire al lettore, coinvolgendolo in maniera più diretta e, come dire, emotiva… pensate alla musica, a come nelle canzoni la melodia sappia talvolta innalzare il livello di testi a volte banali, scontati, ripetitivi, dandoci comunque un’emozione… e chiedetevi perché la poesia sia tanto più difficile da tradurre felicemente in o da altre lingue rispetto alla prosa: questione dell’unicità della cadenza, del ritmo interno di ogni idioma, che nella poesia si esprime al massimo.
Meglio evitare l’utilizzazione di parole “difficili”, roboanti, obsolete: la semplicità del linguaggio (non la banalità, sia chiaro, e ad ognuno individuare il confine) rende più fluida la lettura e più diretta la partecipazione del lettore all’emozione che l’autore ha voluto mettere sulla pagina.
Inoltre, è preferibile rifuggire dall’uso degli avverbi, che appesantiscono i concetti e per il loro stesso suono rischiano di rompere quel ritmo di cui sopra e quindi di interrompere il flusso della percezione. Anche il rispetto troppo formale della punteggiatura rischia di ottenere il medesimo effetto negativo, meglio usarla solo quando è necessaria a rafforzare o chiarire il senso della frase.
E infine, cerchiamo di tenerci lontani dagli eccessi di ermetismo… ma qui subentra un altro problema, anzi il problema dei problemi: la poesia deve “servire” a chi la scrive o a chi la legge o ad entrambi? Uno sfogo diretto di dolore, o di disperazione, o di piacere, o di gioia, quando può trovare condivisione da parte del lettore? Anche se messo in versi, un sentimento privato può dirsi poesia anche se il lettore non è messo in grado di percepirne la profondità, la sincerità, perché no l’universalità? L’espressione individuale del proprio sentire di un momento, di “quel” momento, basta a sé stessa come valvola di sfogo, uscita di sicurezza, quasi auto-analisi (con i rischi che questa presenta… ma non voglio infilarmi in un discorso troppo complesso per essere ridotto a poche righe)? Oppure questa espressione individuale ha bisogno di elaborazione formale, di riletture e riscritture, non solo per essere compresa e condivisa dal lettore, ma anche per servire veramente all’autore a meglio comprendere le radici della propria emozione? Un altro grande del secolo scorso (questo con uno sguardo un po’ più attento alla realtà presente, almeno credo) diceva che la scrittura in ogni sua forma è un lampo di ispirazione, una forte atto di volontà iniziale e soprattutto fatica quotidiana, sudore udore sudore…. Insomma, le “sudate carte”.
Mi rendo conto di essermi lasciato prendere la mano e di aver messo, per dirla con un’espressione ben poco poetica, troppa carne al fuoco, di aver solo sfiorato un gran numero di questioni. Quindi mi fermo. Aggiungo solo che per me personalmente è piacevole, spesso emozionante, sempre interessante riprendere i miei vecchi scritti e rielaborarli (senza cancellare l’originale!) per cercare di migliorarli, non tanto per gusto formale quanto per renderli più nitidamente rispondenti al mio sentire, cosa quasi mai possibile nell’impeto della prima stesura, nella spontaneità del momento emotivo… ed ecco che senza volerlo socchiudo la porta ad un ulteriore problema, quello del rapporto tra spontaneità ed autenticità, che non sono sinonimi, anzi; ma sarà per un’altra volta.
Bene, amici di Sen Gian, spero che questo piccolo scritto vi possa essere utile: se credete, mettetelo pure a disposizione dei “vostri” autori e del pubblico, con l’augurio che serva ad avviare un confronto, un dibattito, un’elaborazione ollettiva per cercare (non trovare, perché non esiste) una risposta alla
domanda delle domande: ma, in sostanza cosa è la poesia?
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