ONIRICO PRIMO
Come trovarsi senza aver fame
a tavola – vecchio salotto ignobile
e ingoiare fumante
la zuppa di persone note
ma ancora non facili – perché indefinite.
Il piano scordato – vent’anni in disuso
ronza contro il muro
collaterale alla tappezzeria strappata
che col vento delle finestre altissime
schiaffeggia l’intonaco antico.
Sgomento felice di cucciolo
quando la gigantesca libellula
precipitò nella prigione di note
e un vecchio professore in spolverino grigio
volle estrarla con cura e restituirla
al volo.
Alzare gli occhi alla finestra aperta
per cui fuggì – perlacea saetta
e scorgere senza stupirsi affatto
due uomini – una donna – sconosciuti
dentro una grande cesta
su un elefante nero forse finto
contro l’albero – cupola di bacche violacee
l’albero caverna – Tarzan dominava
là in punta da bambino.
Ora in due nel salotto – altri svaniti
rispondere al fuoco di fucili esterni
senza paura – come giocando
contro gli ignoti sul gigante
mentre di fuori é nata una fanciulla
– carabina e jeans –
che spara e ancora e ancora
e ancora
chiamandomi ad uscire – ad aiutarla.
Eccomi all’improvviso
tra zampe nere – ebano levigato
dell’elefante o della credenza
pensando solo al mio terrore
che si sieda
e mi schiacci.
Eppure la fanciulla dalle labbra pallide
bianca sotto gli strappi
é appesa a un gancio di persiana.
Più nessuno nella sala mentre
i buchi delle palle sul divano duro
orinano segatura
tra le fessure del parquet lucidato
e io impotente – si riapre sempre.
Poi fuori a cercare
la ragazza scalza che non c’é
l’elefante é andato via
senza lasciare impronte.
Il sangue verginale a terra é poco
ma sotto le foglie
spostate dal piede imprudente
ecco il riso scotto agglutinato
e so che é rosso e lei é morta
e mi dispero senza ragione.
Il giardino é popolato di assenze.
Anonimo 1
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